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VANZETTI
Il sogno di un emigrato italiano
con Massimo Barbero, Patrizia Camatel, Matteo Campagnoli, Dario Cirelli,
Fabio Fassio, Chiara Magliano, Antonio Muraca, Stefano Orlando, Paola Tomalino, Federica Tripodi
musiche e canti a cura di Chiara Magliano, Paola Tomalino, Tiziano Villata
scenografia di Francesco Fassone
costumi del Laboratorio Stilistico Vezza
drammaturgia e regia di Luciano Nattino
produzione casa degli alfieri, Teatro degli Acerbi e Asti Teatro 27
durata dello spettacolo: 2 tempi di 60 minuti ciascuno
in ricordo di Luciano Nattino
Quel che sono venuto ad interrogare qui, con questo lavoro su Vanzetti, più che l’utopia, ancorché cara, del piemontese terrigno e volante, è l’erranza, la diaspora, la dispersione come fenomeno costante di questo mondo.
Storie di emigrazione, di libertà offuscate, di diritti negati.
Se Sacco e Vanzetti, bruciati sulla sedia elettrica nel 1927, hanno una importanza per noi quasi ottant’anni dopo, è perché siamo sempre capaci di ucciderli o di farli vivere.
Da anni volevo lavorare intorno alla figura di Bartolomeo (e al caso Sacco/Vanzetti) per uno spettacolo teatrale che cercasse nuovi punti di vista, andasse oltre ai fatti noti e già “visitati” in letteratura, cinema, teatro, musica.
Per cui ho indagato a fondo sulle lettere di “Tumlin” ai famigliari, agli amici, a Mary Donovan, sui suoi scritti, su articoli e atti di convegni. Il Fondo Vanzetti, presso l’Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea di Cuneo, mi è stato molto utile per le ricerche dalle quali la storia di Bartolomeo Vanzetti si presentava via via sempre più attuale ed emblematica. L’idea di una terra libera, la fiducia nel riscatto dei più poveri, la lotta…e poi la disillusione, addirittura l’arresto, un processo farsa, la condanna a morte.
Al processo, tuttavia, e al tema “giustizia” ho dedicato pochi essenziali riferimenti.
Ho preferito piuttosto il lato domestico dell’anarchico di Villafalletto, indagando la sua adolescenza, le relazioni, le amicizie, i rapporti con la sorella Luigia, con il padre, con gli ambienti in lotta per la sua difesa, con la giornalista Mary Donovan. Ho voluto sondare quel misto di ingenuità e concretezza, di idealismo e generosità, che traspaiono da tutta la vita di Bartolomeo, prima e dopo la sua partenza per l’America: l’adolescenza, le difficoltà nella ricerca di un lavoro stabile, le passeggiate lungo il Maira, le rare amicizie, il suo amore per la natura, per gli umili.
E poi l’imbarco, la lontananza, la violenza dei sobborghi statunitensi, il difficile rapporto con gli americani, la triste condizione di emigrato italiano, il suo sogno di liberazione degli sfruttati.
Le sue lettere, le sue “note sugli uccelli”, i suoi discorsi ai processi, costituiscono la parte principale del materiale testuale. Per il resto ho tenuto conto di ciò che si conosce della sua biografia (che lui stesso ha scritto) e a diversi materiali inediti.
L’ordine degli episodi non è cronologico ma legato al tempo della memoria, dei fatti che si concatenano per analogie, per affinità dei ricordi, con punte in avanti e salti all’indietro.
Del resto il teatro è anch’esso un luogo dell’esilio, di una sospensione, di una vita da rifare che ti attende. E’ come essere a Ellis Island (l’isola di fronte a Manhattan dove venivano selezionati gli emigranti) prima di sbarcare a Battery Park: un luogo dell’assenza di luogo. Non è un caso che, anche scenicamente, siamo partiti da quell’isolotto e abbiamo terminato lì.
Un luogo non luogo, che è tutto e niente, una sala di attesa e una sala di tribunale. Panchine come inginocchiatoi, coperta della nave, legni del carcere, sedie delle assemblee anarchiche.